All’Assemblea Costituente, il 18 settembre 1946, Umberto Terracini disse: “Quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti”. Un monito lungimirante, che oggi serva perché vinca il No al taglio dei parlamentari.
Il referendum costituzionale che riduce il numero dei parlamentari potrebbe rivelarsi un boomerang per chi ha votato in Parlamento la modifica dei relativi articoli della Costituzione: una modifica decisiva, su cui è sottratta ai cittadini ogni doverosa corretta informazione. Si sono aggiunti ulteriori ostacoli i cui nodi, ad oggi (17 giugno), ancora non sono sciolti: l’accorpamento in un’unica data tra elezioni amministrative e referendum. È una manovra che rischia di ritorcersi contro chi ha voluto la modifica costituzionale.
Da anni la partecipazione alle elezioni si è significativamente ridotta: generata dalla sfiducia verso una gestione politica sempre più lontana dagli interessi collettivi e alimentata dall’assenza di quelle forme associative che l’art. 49 della Costituzione definisce il fulcro della partecipazione cittadina alla politica nazionale.
Quando però gli elettori sono stati chiamati a decidere se modificare la Costituzione, è sempre emersa una coscienza civica: è accaduto con i referendum costituzionali del 2006 e del 2016. In entrambi i casi i cittadini si attivarono in campagne di informazione, affermando con un No la volontà di mantenere l’ordinamento costituzionale da cui è nata la nostra democrazia. E vinsero quelle battaglie.
Oggi si ripresenta un quadro analogo: chi ha voluto la nuova riforma costituzionale, su cui è per ultimo chiamato a decidere il popolo, asseconda la sfiducia verso le istituzioni e declina banalmente le proprie ragioni – quando lo fa – con un unico, demagogico, strumentale argomento: “smaltire” il numero dei parlamentari per dare un colpo decisivo alla “casta”. Argomento che potrebbe compiacere la pancia dei cittadini, ma più difficilmente il loro senso civico, a cui potrebbe suonare irragionevole, vuoto, persino insidioso. Per di più in assenza di qualunque informazione, confronto, discussione nel Paese.
Fissata a gennaio scorso la data del referendum per il 29 marzo, visto il diffondersi dell’emergenza sanitaria, la consultazione fu rinviata.
Oggi la votazione è accorpata con altre votazioni a fine settembre, ma lo stesso decreto che consente l’abbinamento delle votazioni in un’unica giornata (prima volta in assoluto in Italia) ha fissato l’ultima data possibile per il referendum costituzionale al 22 novembre prossimo.
Perché non prendere tutto il tempo disponibile per far conoscere ai cittadini le motivazioni e le conseguenze di un voto così importante? Il taglio dei parlamentari inficia irrimediabilmente il principio costituzionale della rappresentanza: il 37% in meno di eletti significa escludere molti italiani dall’avere voce nell’organo parlamentare, inclusi gli italiani all’estero (sono 4,5 milioni).
Il Parlamento verrebbe garantito solo alle poche forze politiche espressione di più largo consenso, con l’esclusione delle molteplici sensibilità che la società civile italiana esprime. E tutto avverrebbe in vigenza di una legge elettorale, negazione del diritto alla scelta elettorale, che non è stata modificata; senza un cambiamento dei regolamenti parlamentari (strumenti di “dominio” delle maggioranze parlamentari del momento); imponendo da parte di maggioranze ad hoc le più delicate scelte elettive, prima fra tutte quella del Presidente della Repubblica. Basterebbero questi argomenti per votare No al taglio dei parlamentari.
La scelta libera e consapevole di una rappresentanza è il fondamento naturale di una democrazia: non tenerne conto significa annullare la volontà popolare, di cui molti dei promotori della modifica ad ogni piè sospinto fingono di essere i paladini; significa demolire il ruolo centrale del Parlamento, che nella democrazia costituzionale italiana costituisce il baluardo contro ogni tentativo di ritorno all’autoritarismo.
L’unica arma rimasta a chi ostacola una libera volontà popolare è quella diretta ad annacquare il voto referendario, riducendolo ad un mero occasionale “passaggio nell’urna”, accorpato ad altre elezioni che con il referendum costituzionale nulla hanno a che vedere, per struttura e per finalità.
Il Parlamento va rafforzato, non depauperato, solo così può mantenere il suo ruolo di controllo sulle scelte politiche dell’esecutivo: lo stanno dicendo in molti e queste voci si stanno unendo. All’Assemblea Costituente, il 18 settembre 1946, Umberto Terracini disse: “Quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti”. Un monito lungimirante, che oggi serva perché vinca il No al taglio dei parlamentari.